Violenza di Genere: piaga silenziosa
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Violenza di Genere. Sai perchè?
La violenza di genere: una piaga silenziosa che richiede azioni concrete
La violenza di genere è un fenomeno complesso e ancora estremamente diffuso. Colpisce principalmente le donne e le ragazze, ma coinvolge tutta la società in un circolo vizioso di abuso e ingiustizia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una donna su tre nel mondo subisce violenza fisica o sessuale nel corso della sua vita.
Tuttavia, il vero cuore del problema va oltre i numeri: si trova nelle strutture di potere e nei meccanismi culturali che perpetuano questa violenza. Tra questi, il patriarcato è forse l’elemento più radicato e potente, e rappresenta una delle principali cause di discriminazione e abuso di genere.
Il patriarcato come radice della violenza di genere
Il patriarcato è un sistema di organizzazione sociale, politica ed economica che assegna il potere e il controllo principalmente agli uomini, mantenendo le donne in una posizione subordinata. Questo sistema non è solo una questione di squilibrio tra uomini e donne, ma influenza profondamente le norme culturali e le aspettative sociali che legittimano la violenza di genere. Il patriarcato crea un terreno fertile per il controllo, la dominazione e l’abuso, poiché considera naturale la superiorità maschile e la sottomissione femminile.
La violenza di genere è uno degli strumenti più evidenti attraverso cui il patriarcato si manifesta. Non si tratta di atti individuali, bensi di un sistema che consente e incoraggia comportamenti sottili e pervasivi di prevaricazione psicologica prima, fisica poi, come mezzo per mantenere il controllo. Gli uomini, fin dall’infanzia, vengono spesso educati ad aderire a norme di mascolinità tossica che privilegiano l’aggressività, il controllo e la forza, mentre le donne vengono cresciute con l’idea della passività e della dipendenza. Questo condizionamento sociale crea una dinamica di potere che favorisce la violenza nelle relazioni di genere, poiché gli uomini percepiscono spesso la loro posizione di autorità come una legittimazione per il controllo fisico e psicologico sulle donne.
La cultura della colpevolizzazione e della silenziosità
Una delle conseguenze più gravi del patriarcato è la normalizzazione della violenza e la colpevolizzazione delle vittime. Le donne che subiscono abusi vengono spesso accusate di aver provocato la violenza o di non aver fatto abbastanza per evitarla. Questa narrazione, profondamente patriarcale, sposta la responsabilità dal colpevole alla vittima, creando un contesto in cui le donne non si sentono sicure nel denunciare gli abusi, temendo giudizi e stigmatizzazione sociale. Anche il sistema giuridico e le forze dell’ordine, impregnati di queste dinamiche patriarcali, tendono a non fornire un adeguato supporto alle vittime, minimizzando la gravità della violenza subita.
Inoltre, la cultura del silenzio che circonda la violenza di genere è una delle armi più potenti del patriarcato. Molte donne, per paura o vergogna, non parlano della violenza subita, il che perpetua un ciclo in cui la violenza resta invisibile e impunita. Questo silenzio non è solo personale, ma collettivo: i media e le istituzioni spesso non danno il giusto rilievo al problema, riducendo gli episodi di violenza a singoli casi isolati invece di riconoscerli come sintomi di un problema strutturale.
Rompere il ciclo: verso una nuova cultura di rispetto
Per contrastare la violenza di genere, è necessario smantellare le radici patriarcali che la sostengono. Questo richiede un cambiamento culturale profondo, che coinvolga ogni aspetto della società, dall’educazione ai media, passando per le istituzioni politiche e giuridiche. Educare i giovani al rispetto e all’uguaglianza è uno dei passi fondamentali per rompere il ciclo della violenza. È altrettanto cruciale promuovere una rappresentazione non stereotipata dei generi nei media e nelle narrazioni collettive, affinché la diversità e la parità siano al centro del discorso pubblico.
Inoltre, è indispensabile promuovere un maggiore accesso alla giustizia per le vittime di violenza di genere, rafforzando le leggi contro gli abusi e formando operatori specializzati per gestire questi casi con la dovuta sensibilità. Solo quando il patriarcato sarà smantellato come struttura di potere potremo aspirare a una società veramente libera dalla violenza di genere, dove il rispetto per i diritti e la dignità di ogni persona sarà il pilastro fondamentale delle relazioni umane.
Come le parole nutrono la violenza?
La violenza ha nella sua manifestazione fisica l’apice della visibilità pur spesso rimanendo invisibile ai più.
La violenza si manifesta attraverso azioni fisiche quando le parole hanno già minato la resistenza della donna. Le parole, troppo spesso sottovalutate, giocano un ruolo fondamentale nel costruire e sostenere un clima di aggressività e oppressione. Le espressioni linguistiche sono potenti strumenti che possono plasmare il modo in cui percepiamo il mondo e le persone intorno a noi. Quando vengono usate in maniera dannosa, le parole possono alimentare una cultura di violenza, rinforzare stereotipi e giustificare atteggiamenti discriminatori.
Il potere delle parole
Il linguaggio è un veicolo attraverso cui la società trasmette norme e valori. Le parole che scegliamo riflettono le nostre credenze e influenzano il comportamento di chi ci circonda. Quando il linguaggio viene utilizzato per degradare, insultare o ridicolizzare, diventa uno strumento di controllo e manipolazione. Questo è evidente in tutte le forme di violenza, inclusa la violenza di genere, dove espressioni sessiste, insulti e battute degradanti vengono spesso utilizzate per mantenere una gerarchia di potere tra uomini e donne.
Le parole, inoltre, possono legittimare la violenza. Termini che minimizzano o giustificano atti di abuso, come “era solo uno scherzo” o “non è stata una cosa grave”, contribuiscono a creare un clima in cui la violenza viene accettata e normalizzata. Questo linguaggio contribuisce a sminuire l’esperienza delle vittime e a perpetuare una cultura del silenzio e della colpevolizzazione. Quando la società accetta queste narrazioni, diventa più facile ignorare o minimizzare i comportamenti violenti, dando agli aggressori una sorta di impunità morale.
Stereotipi e disumanizzazione
Le parole possono anche nutrire la violenza attraverso la perpetuazione di stereotipi e la disumanizzazione delle persone. Gli stereotipi, veicolati attraverso il linguaggio, creano immagini rigide e dannose di gruppi sociali, riducendo la loro complessità e umanità. Ad esempio, frasi come “gli uomini sono tutti violenti” o “le donne sono deboli” rinforzano concezioni tossiche e limitanti dei ruoli di genere, legittimando comportamenti di dominazione e subordinazione.
Ancora più pericoloso è il linguaggio che disumanizza. Quando le persone sono ridotte a oggetti o categorie inferiori attraverso le parole – come succede con termini razzisti, omofobi o sessisti – si crea un terreno fertile per la violenza. Disumanizzare una persona attraverso il linguaggio la rende più facile da aggredire o maltrattare, poiché viene privata della sua dignità e umanità.
Il linguaggio mediatico e l’impatto sulle vittime
Anche i media contribuiscono a nutrire la violenza attraverso l’uso del linguaggio. Le parole utilizzate per descrivere episodi di violenza, specialmente la violenza di genere, spesso minimizzano la gravità dei fatti o colpevolizzano indirettamente le vittime. Titoli come “Delitto passionale” o “Lei lo aveva provocato” distorcono la realtà e normalizzano la violenza, spostando l’attenzione dall’aggressore alla vittima.
Questo tipo di narrazione non solo rafforza gli stereotipi di genere, ma influisce negativamente sulla percezione pubblica della violenza, rendendo difficile per le vittime ottenere giustizia e supporto. La scelta delle parole, in questo contesto, diventa cruciale: un linguaggio rispettoso e accurato è essenziale per rompere il ciclo di violenza e fornire alle vittime la dignità e il sostegno che meritano.
Le parole nutrono le persone e possono trasformarle verso un empowermant potente e trasformativo cosi come distruggerle ed annintarle.
Le parole come strumento di cambiamento
Se da un lato le parole possono nutrire la violenza, dall’altro hanno anche il potere di disinnescarla. Promuovere un linguaggio inclusivo, rispettoso e consapevole è un passo fondamentale per combattere la violenza in tutte le sue forme. Scegliere le parole con cura, rifiutare espressioni offensive o degradanti e sfidare attivamente le narrazioni che legittimano la violenza sono atti di resistenza.
La cultura del rispetto e dell’empatia inizia dalle parole. Creare spazi di dialogo aperti e inclusivi, dove il linguaggio viene utilizzato per costruire e non per distruggere, è il primo passo verso una società più giusta e pacifica.
Le grafiche riportate in questo articolo fanno parte di un progetto di consapevolezza e sensibilizzazione che dal 15 gennaio 2024, nelle strade e nelle piazze dell’Emilia–Romagna, ha preso corpo. La campagna di comunicazione della Regione nata per contrastare la violenza psicologica degli uomini contro le donne. Campagna che durerà per tutto il 2024 con un cartellone e una frase, spesso anche choc, ogni mese. CAMPAGNA : SE LO DICE E’ VIOLENZA
Frasi dure come schiaffi, che mortificano, umiliano, disorientano e minano l’autostima delle donne. Non sono solo parole ma è violenza vera e propria. Riconoscerla, e chiedere aiuto rivolgendosi ai Centri antiviolenza del territorio, è fondamentale per fermarla, prima che sia tardi.
Ne manca una tra quelle più distruttive che rimbombano nella mia mente: DEVI stare a casa! ancora la sento questa, dentro e fuori di me.
Chi sono ora lo devo a me e a…
Dott. Nitamo Montecuccolo e dott.ssa Silvia Ghiroldi – Villaggio Globale Bagni di Lucca – Percorso di consapevolezza Psicosomatica
Prof.sse Ghelfi e prof Marcuccio che negli anni universitari AlmaMAter Studiorum 2014 – 2022 hanno saputo rendere speciali le loro lezioni a tema genere
Karina Schelde e tutto il lavoro fatto per aiutarmi a riprendermi la voce insieme ad Adelgunde Muller
Il team della scuola Somatic Experiencing® Italia
Le donne dei centri Antiviolenza di Modena e Bologna
Ansia, paura di essere toccata, antenne così sensibili che mi fanno cogliere rischi di colpevolizzazione nelle parole dei sondaggi, negli articoli di giornale o nelle pubblicità.
Sono allerta ma non in guerra, sono sveglia ma non aggredisco. Colpevolizzazione del genere feminile? Anche No Consapevolezza dei generi? Si necessario
Ancora tanta strada da fare, sono in cammino e ne uscirò. LA violenza e’ pervasiva e ti entra dentro in modo vischioso.
Un passo alla volta
Claudia
Bibliografia per crescere in consapevolezza
- Butler, Judith. Parole che provocano: Per una politica del performativo. Roma: Meltemi Editore, 2004.
Questo testo esamina come il linguaggio abbia un ruolo performativo nella creazione di realtà sociali, incluso il potere che le parole hanno nel perpetuare violenza e oppressione. - Gilligan, Carol. La nascita del piacere: La voce del dissenso in una cultura di obbedienza. Milano: Feltrinelli, 2003.
Gilligan esplora il potere delle parole e delle narrazioni nel plasmare le relazioni sociali e il modo in cui la violenza è alimentata dalla cultura del silenzio e del controllo. - Lakoff, George e Johnson, Mark. Metafore e vita quotidiana. Milano: Bompiani, 1998.
Questo libro approfondisce come le metafore e le strutture linguistiche influenzano il nostro pensiero e la percezione della realtà, compresa la violenza e il potere. - Derrida, Jacques. La scrittura e la differenza. Torino: Einaudi, 1967.
Derrida analizza come il linguaggio possa costruire o distruggere significati e identità, evidenziando il ruolo cruciale della parola nella costruzione sociale del potere e della violenza. - Hooks, Bell. Elogio del margine: Razza, sesso e mercato culturale. Milano: Feltrinelli, 1998.
Bell Hooks riflette su come il linguaggio e la cultura mediatica contribuiscano alla perpetuazione del razzismo e del sessismo, e propone un uso consapevole delle parole come mezzo per l’empowerment delle persone marginalizzate. - Freire, Paulo. Pedagogia degli oppressi. Torino: EGA, 1971.
Freire enfatizza l’importanza del dialogo e della consapevolezza linguistica come strumenti di liberazione e empowerment per le persone oppresse, collegando il linguaggio alla giustizia sociale. - Cavarero, Adriana. A più voci: Filosofia dell’espressione vocale. Milano: Feltrinelli, 2003.
Un’esplorazione filosofica sul potere della voce e della parola nel plasmare le relazioni umane, con particolare attenzione alla violenza verbale e all’uso del linguaggio per l’empowerment. - Bourdieu, Pierre. Il dominio maschile. Milano: Feltrinelli, 1998.
Un’analisi sociologica sul patriarcato e il ruolo del linguaggio nel mantenere le strutture di potere maschile e la disuguaglianza di genere. - Benhabib, Seyla. La rivendicazione dell’identità culturale: Eguaglianza e diversità nell’era globale. Roma: Meltemi Editore, 2002.
Benhabib discute come le parole e i discorsi pubblici possano rafforzare o combattere le forme di oppressione culturale e sessuale, enfatizzando il ruolo del linguaggio nell’inclusione e nell’empowerment. - Tannen, Deborah. You Just Don’t Understand: Women and Men in Conversation. New York: Ballantine Books, 1990.
Tannen esplora le differenze di genere nel linguaggio e come queste differenze possano alimentare incomprensioni, disuguaglianze e, in certi casi, forme di violenza verbale e simbolica. - Louise, Hay. Puoi Guarire la tua vita New York: Ballantine Books, 1990.
Manuale di sopravvivenza per un buon dialogo interiore My Life Edizioni
Questi testi offrono una base teorica per comprendere come le parole possano alimentare la violenza o, al contrario, essere usate per promuovere l’empowerment e la trasformazione sociale.